IT

CLAUDIO CRESCENTINI — Lo statuto ontologico dei gemelli Ingrassia

Analizzando l’opera dei gemelli Ingrassia – Carlo e Fabio – ma soprattutto la loro metodologia artistica, nasce spontaneo il parallelismo, seppur per parafrasi, con quella che è definita «ontologia dell’attualità» di Jacques Derrida. La capacità di considerare la contemporaneità come un personale, gigantesco deposito di segni – scritture, suoni, simboli, immagini, ecc. – che a seguito della loro trascrizione fisica e meccanica si trasformano essi stessi in un mondo, copia o doppio di quello in cui viviamo, interagiamo e con il quale, al fine, ci confrontiamo e (auto)rappresentiamo. Un mondo in cui tutti questi elementi costituiscono una realtà parallela, come nell’anno 1Q84 (2009) di Haruki Murakami, nella quale riconosciamo e rivediamo rappresentata la nostra realtà naturale proprio per mezzo di quella miriade di informazioni di cui parla Derrida, incorporate e utilizzate come memoria – per cui doppio – della stessa realtà naturale, in una realtà altra.
Un doppio del nostro mondo quindi, come spesso succede proprio nel “mondo degli Ingrassia”, dove toccanti e personali quid iconografici si trasformano in strutture percettive primarie.
Si veda ad esempio la loro opera Se manteniamo il sogno nella memoria, se oltrepassiamo la collezione dei ricordi, la casa perduta uscirà dall’ombra a poco a poco… (2008) o ancora Le stagioni del ricordo sono eterne perché fedeli ai colori della prima volta (2009). I parallelismi fra artificiale e naturale si intensificano nel tempo, il tempo dell’arte dei gemelli Ingrassia, andando sempre più a (ri)flettersi su di una realtà parallela che “sembra” ma in definitiva non “è” quella reale o che riteniamo tale e che si (ri)flette, a sua volta, nella stessa tipologia creativa utilizzata dai gemelli Ingrassia. Del resto i loro segni, oggetti, traiettorie visive, le loro prospettive architettoniche sono costruite per metonimia e, tecnicamente, per mezzo di ombre, quindi esclusivamente per il tramite del disegno. Raffinato, meticoloso, quasi maniacale, realizzato a quattro mani.
Accostati e aiutati dalla loro stessa inclinazione fisica, definita dall’essere uno mancino e l’altro destrorso, i gemelli Ingrassia operano accuratamente nella specularità del procedimento artistico, utilizzando un disegno che diventa anche scultura, ma sarebbe meglio dire struttura o decorazione, come in Dal più piccolo al più grande (2009) 13, vincitore nella sezione “Decorazione” del Concorso PNA Premio Nazionale delle Arti. Si tratta di un disegno che diventa anche colore, nel continuo sovvertimento della realtà naturale, attraverso saturazioni, velature del grigio utilizzato nelle sue finite sfumature e nuances.
Da questo continuo procedimento artistico, doppiato e sovvertito o meglio decostruito, come avrebbe specificato Derrida, i gemelli Ingrassia segnano la via delle loro forme, le percezioni e i dati creativi e decostruttivi. È, infatti, proprio Derrida ad essere riuscito a riconoscere questa caratteristica fondamentale del nostro tempo e a
definire cosa avrebbe comportato la duplicazione di tracce e di registrazioni – leggi segni e informazioni – per la vita dell’uomo contemporaneo. In modo così da riuscire ad acquisire uno statuto ontologico diverso, altro.
Ovviamente tutto è più complicato di quello che sembra e che ci presentano i gemelli Ingrassia che, infatti, ha dietro di sé “qualcosa” che non si presenta nella realtà naturale, o non almeno così, a partire dalla loro essenza naturale di gemelli, anzi di artisti-gemelli, quasi nell’accezione di una categoria a parte rispetto alle altre. Come dire, di natura, che accresce la complessità della lettura analitica dello stesso fenomeno artistico, anzi di loro come “fenomeno artistico” da trattare.
Ma al di là di questo tipo di semplificazione, dietro quindi l’apparenza biologica del fenomeno individuato, è alla loro arte che dobbiamo guardare e con la quale dobbiamo confrontarci, alla loro capacità di creare snaturando l’essenza stessa della creazione, sia come concetto che come prodotto. Partendo ad esempio dall’elaborazione di un disegno, lo ripetiamo, che diventa scultura, dove appunto sono le ombre che costruiscono gli oggetti stessi, e non la materia. Oggetti che, a loro volta, doppiano la realtà seppur pervenendo da questa stessa, proprio come in un racconto di Borges, autore del resto citato dagli stessi Ingrassia in una delle loro opere più simboliche e affascinanti: Nella campagna vaga e vivente la luna e il declivio eliminavano ogni possibilità di fatica (2010) 21. Tutto questo, lo ripetiamo, coniugato alla riflessione circa il loro “essere doppio”, come direbbe Lacan, pur creando all’unisono, nell’unicità quindi della creazione stessa del prodotto artistico finale. I temi e i segni si accavallano e moltiplicano, nella complessità delle strutture creative stesse dei gemelli Ingrassia, i quali finiscono – inconsciamente? – per utilizzare quindi i medesimi riferimenti gnoseologici delle coppie binarie di Derrida, comprimendo però la loro “sintesi” produttiva nella “antitesi” del singolo lavoro creativo.
I gemelli Ingrassia quindi, nell’estensione semantica del loro unitario riferimento compositivo, creano l’identità stessa del loro singolo segno, seppur elaborato in coppia, in simbiosi, all’unisono, lasciando perciò tracce “singole” di un lavoro creativo “doppio”. Ed è di nuovo qui che si rileva l’essenza stessa del loro concetto creativo, la presenza stessa della loro identità artistica nella nostra arte contemporanea. Ed è qui, appunto, che passa l’analisi della loro metodologia artistica che diventa, con specifica determinazione concettuale, ontologia, anzi «statuto ontologico» come lo abbiamo definito. Realtà artificiale del naturale, mondo altro che converte e riflette, definisce e acquieta, seppur nell’angoscia della riproduzione, doppiata e snaturata, del nostro esile reale.

EN

CLAUDIO CRESCENTINI — The Ontological Status of the Ingrassia Twins

Analysing the Ingrassia twins’ work – Carlo and Fabio – but above all their artistic methodology, spontaneously gives rise to parallelism, or that which is defined as an “ontology of modernity” by Jacques Derrida. The capacity to consider contemporaneity as a gigantic personal deposit of signs – writings, sounds, symbols, images, etc. – that following their physical and mechanic transcription transform themselves into a world, a copy or a double of that which we live and interact in, and with which, in the end, we confront and (self)represent. A world in which all these elements constitute a parallel reality, like in the year 1Q84 (2009) by Haruki Murakami, in which we recognise and see our natural reality represented precisely for the means of the myriad of information of which Derrida speaks, incorporated and utilized as memory – therefore a double – of the same natural reality in another reality.Therefore a double of our world, as often happens in the world of the Ingrassias, where touching and personal iconography transform itself into a primary perceptive structure. It can be seen in their work Se manteniamo il sogno nella memoria, se oltrepassiamo la collezione dei ricordi, la casa perduta uscirà dall’ombra a poco a poco… (If we maintain the dream within memory, if we overtake the collection of memories, the lost house will emerge from the shade little by little…), (2008),12 or again in Le stagioni del ricordo sono eterne, perché fedeli ai colori della prima volta (The seasons of memory are eternal because faithful to the colours of the first time), (2009).
The similarities between artificial and natural intensify themselves over time, the time of the Ingrassia twins’ art, increasingly reflects itself in a parallel reality which “seems” but definitively is “not” the real one or that we retain such and that reflects itself, in turn, in the same typological creativity used by the Ingrassias. Their objects, visual trajectories, their architectural perspectives are constructed for metonymy and technically by means of shade, thus exclusively by drawing. Refined, meticulous, near obsessive, realised by four hands. Combined and helped by their physical inclination, defined by being one left-handed and the other right-handed, the Ingrassia twins accurately work in a symmetrical artistic process, using a drawing which also becomes a sculpture, although it would be more apt to say a structure or decoration, like in Dal più piccolo al più grande (From the smallest to the largest), (2009),13 winner of the “Decoration” section of the Concorso PNA Premio Nazionale delle Arti. A drawing which also becomes colour, in the continuous subversion of natural reality, across saturations, shades of grey used in finite hues and nuances.From this continuous artistic process, doubled and subverted or better yet deconstructed, as Derrida would have specified, the Ingrassia twins mark the path of their forms, perceptions and creative and deconstructive data. In fact, it is precisely Derrida who succeeded in recognising this fundamental characteristic of our time and to define what the duplication of traces and of recordings would have entailed – laws, signs and information – for the life of the contemporary man. In this way succeeding to attain another ontological status, a different one. Obviously everything is more 22complicated than how it seems and how it is presented by the Ingrassia twins, which in fact has behind it “something” which isn’t present in natural reality, or at least not as such, from their natural twin essence, rather than artists-twins, almost in the acceptance of a category separate to the others. As if to say that by nature there grows a complexity of the analytical reading of the same artistic phenomenon, such that they are an “artistic phenomenon” to debate. But beyond this kind of simplification, thus behind the biological appearance of this identified phenomenon, we must look at their art and we must confront ourselves with it, with their capability to distort the very essence of the creation, as much as a concept as a product. For example, going from the elaboration of a drawing, we repeat, which becomes sculpture, where it is indeed the shadows that construct the objects themselves and not the material. Objects which, in turn, double the reality even though coming from the same, exactly like in a story by Borges, the same author quoted by the Ingrassias in one of their most symbolic and fascinating works: Nella campagna vaga e vivente la luna e il declivio eliminavano ogni possibilità di fatica (In the living and meandering countryside the moon and the slope eliminate every possibility of effort), (2010).21 All of this, said again, combined with the reflection around their “double being” as Lacan would say, while creating in unison, therefore, in the uniqueness of the creation itself of the final artistic product. The themes and signs overlap and multiply, in the complexity of the Ingrassia twins’ creative structures, which finish – subconsciously? – to use the same epistemological complicated references as Derrida’s binary couples, but compressing their productive “synthesis” in the “antithesis” of a single creative work. Thus, the Ingrassia twins, in the semantic extension of their unitary composite reference, create the same identity as their single sign, although elaborated in couple, in symbiosis, in unison, therefore leaving “single” traces of a “double” creative work. And it is new that here is revealed the essence of the same creative concept, the same presence as their artistic identity in our contemporary art. And it is precisely here the analysis of their artistic methodology takes place, which becomes through specific conceptual determination, ontology, or rather “ontological status” as we have defined it. Artificial reality of the natural, another world which converts and reflects, defines and silences, even in the anguish of the reproduction, doubled and distorted, of our fragile reality.