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DAVID FREEDBERG — Sull’essere gemelli: oltre i limiti del perdono

Mi sono sempre sentito dispiaciuto per i miei fratelli, i gemelli. Hanno condiviso la stessa stanza (mentre io avevo la mia) e indossavano gli stessi vestiti (cosa che ovviamente si rifiutavano di fare, essendo indipendenti almeno quanto me). Tutto sembrava un insulto intollerabile all’individualità. Anni dopo uno di loro ha scritto del dolore di guardarsi in uno specchio e di non essere sicuro di essere il fratello o lui stesso; ha ricordato come ha dovuto rassicurarsi che quello che vedeva era effettivamente se stesso. Che lotta per il sé individuale! Che confronto complesso, vedere se stessi come l’altro! Le apparenze, come tutti sappiamo, sono ingannevoli; ma nel caso di gemelli identici, anche geneticamente c’è un furto parziale del sé de ovo – dal singolo uovo prima che si divida in due embrioni.
Ma l’unione fa la forza. Quando un gemello aggrediva o attaccava l’altro, io, il fratello maggiore, intervenivo per proteggere colui che sentivo essere la vittima. Inevitabilmente, la vittima andava in soccorso del suo gemello – il suo persecutore! Insieme si rifacevano su di me, e la forza zigotica originaria prevaleva. Molti erano i lividi presi nel corso di quelle lotte, molte erano le ferite che ero costretto a guarire senza supporto, senza quel sostegno che loro davano l’uno all’altro. In quei momenti sembravano forti, quei fratelli. Erano più giovani di me, e alla luce di questo meno maturi – ma vittoriosi, e alla fine, molto più maturi. Sapevano che la vittoria alla fine sarebbe venuta dalla loro forza combinata, e che il più vecchio (quasi identico a loro comunque), sarebbe stato vinto. Quella vittoria, dopotutto, era una vittoria sulla differenza.
Ma le sfumature dell’identità hanno dato luogo, come sempre dovrebbero, non ai limiti del perdono, ma agli estremi confini del perdono, al perdono stesso. Il loro essere gemelli era illustrato appunto dallo sguardo nello specchio, quando si vede l’altro in se stesso, ma anche dalla mano destra che diventa sinistra. Come la serie di pastelli magnificamente sfumati di Fabio e Carlo Ingrassia, e in particolare la serie Sfumature: I Limiti del Perdono,viii rende ampiamente evidente che l’insolita differenza monozigotica tra destra e sinistra si trova alle origini della scissione embrionale, ma che alla fine produce le riconciliazioni sfumate di tutta la loro arte.
La scissione delle mani, perfettamente chiara nel documentario iche Ivano Fachin ha fatto su di loro, è finalmente risolta.
Nella storia dei gemelli, le grandi vittorie, naturalmente, sono state quelle ottenute dagli arci-gemelli, i Dioscori. Sono i gemelli che hanno avuto l’ultimo dono, quello della risoluzione di quel tipo di compassione che ho sentito io, così senza scopo, per ciascuno dei miei fratelli, e la possibilità di guarire la ferita della separazione dall’altro. Infatti, come è noto, Polluce – avendo ricevuto il dono dell’immortalità da parte di Zeus – immediatamente offrì di condividerlo con suo fratello Castore, che era stato condannato all’Ade per sempre.
E così, per ciascun giorno passato nell’inferno mortale, l’altro lo passava tra gli dèi dell’Olimpo. Il resto di noi non ha questa possibilità.
E hanno ottenuto le ragazze. Alcuni racconti dicono che, mentre Polluce era figlio di Zeus, Castore era nato da un padre mortale. Ma in arte sono sempre stati mostrati come nati dall’accoppiamento di Zeus con l’affascinante e voluttuosa Leda, il padre degli dèi incarnato in un cigno dal lungo collo. Come la loro sorella Elena di Troia, che avevano salvato da Teseo prima che fosse nuovamente portata a Troia, furono graziati con la bellezza, ma anche con un’identità divisa. Hanno accompagnato Giasone e gli Argonauti sul grande viaggio per impossessarsi del Vello d’Oro; e hanno rapito e sposato la splendente Febe e la gioiosa Ilaria, le figlie di Leucippo, «il cavallo bianco». Tali sono le dimensioni estetiche della loro audacia, quali quelle della lotta per l’identità. Nessuna meraviglia che i gemelli siano stati trasformati da Zeus nelle stelle che tuttora portano i loro nomi.

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DAVID FREEDBERG — On Twinship: Beyond the Limits of Pardon

I always felt sorry for my brothers, the twins. They shared the same room (when I had my own) and wore the same clothes (which of course they refused to do, being at least as independent as I). It all seemed an intolerable insult to individuality. Years later one of them wrote about the pain of looking in a mirror and not being sure whether it was his brother or he himself, he recalled how he had to reassure himself that it was indeed himself he saw, that he was indeed himself. What a struggle for the individual self! What a complex confrontation, to see oneself as the other! Appearances, as we all know, are deceptive; but in the case of identical twins, even genetically there is a partial theft of the self de ovo – from the single egg before it splits into two embryos. But in unity is strength. When one twin set upon or attacked the other, I, the elder brother, would step in to protect he who I felt was being victimized. Inevitably, the victim came to his twin’s – his persecutor’s! – rescue. Together they set upon me, and the originary zygotic force prevailed. Many were the bruises incurred in the course of those fights, many were the wounds I was obliged to heal with no support, with none of the support they gave to each other. At such moments they seemed strong, those brothers. They were younger than I, and on the face of it less mature – but victorious, and in the end much more mature. They knew that victory would eventually come from their combined strength, and that the older (almost identical to them anyway), would be vanquished. That victory, after all, was a victory over difference.
25But the nuances of identity gave rise, as they always should, not to the limits of pardon, but to the very ends of pardon, to pardon itself. Their twinhood is illustrated precisely by the gaze in the mirror, when one sees the other in himself, but where right hand becomes left. As Fabio And Carlo Ingrassia’s beautifully nuanced pastel series, but particularly the series Sfumature: I limiti del Perdono,viii make abundantly clear, the unusual monozygotic difference between left and right stands at the origins of the embryonic split, but in the end produces the nuanced reconciliations of all their art. The scission of hands, perfectly clear in the still from Ivano Fachin’s documentary ii about them, is finally resolved. In the history of twins, the great victories, of course, were those achieved by the arch-twins, the Dioscori. They are the twins who had the ultimate gift, that of the resolution of the kind of compassion I felt so aimlessly for each of my brothers, and the possibility of healing the wound of separation from the other. For as is well known, Pollux having been given the gift of immortality by Zeus, instantly offered to share it with his brother Castor, who had been condemned to Hades. And so, for every day they spent in mortal hell, the other was spent as gods on Olympus. The rest of us have no such possibility. And they got the girls. Some accounts say that whereas Pollux was the son of Zeus, Castor was born of a mortal father. But in art they are always shown as born of the coupling of Zeus and the beauteous and voluptuous Leda, the father of the Gods incarnate as a long-necked swan. Like their sister, Helen of Troy, whom they had rescued from Theseus before she was again carried off to Troy, they were graced with beauty but also with a split identity. They accompanied Jason and the Argonauts on the great
journey to acquire the Golden Fleece; and they abducted and married shining Phoebe and joyful Hilaria, the daughters of Leucippus, “the white horse.” Such are the aesthetic dimensions of their daring, as well as struggle for identity. No wonder the twins were transformed by Zeus into the stars that still carry their names.